INQUINAMENTO AEREO 

di Alessio Mannucci

 

Una stima per difetto paragona l'inquinamento di ogni aereo a quello di 500 auto non catalizzate. L'aeroporto di Malpensa, ad esempio, equivale a 250-300.000 auto al giorno, quello di Linate a 150.000 auto.

In questi ultimi anni, i viaggi low cost hanno fatto lievitare drasticamente il traffico aereo e l'inquinamento correlato. Il traffico aereo è di gran lunga la fonte di emissioni di gas serra che cresce più in fretta; dunque, è tra le minacce più gravi al già disastrato ambiente globale, oltre che alle orecchie di chi abita vicino agli aeroporti, anch'essi sempre più numerosi.

Ben Matthews, ingegnere ambientale e ricercatore all'Istituto di astronomia e geofisica dell'università belga di Louvain, scrive sul sito www.chooseclimate.org, ovvero “scegli il clima”: “Giri su Internet alla ricerca del volo più economico ? Vuoi andare in luoghi caldi in inverno ? Ti interessa una conferenza sul futuro del mondo? Bene, scopri da te qual è il vero prezzo del viaggio aereo che vuoi fare.

Scopri che è il modo più rapido per stare al caldo per sempre, e precludere un futuro all'umanità”. Due clic su una mappa, e un apposito modello di calcolo, il Java climate model, permette di scoprire all'istante il nostro contributo individuale, per il tragitto indicato, all'effetto serra. Basta qualche migliaio di chilometri sulle nuvole per produrre più anidride carbonica (CO2, il principale gas serra) di dieci contadini del Bangladesh in un anno di vita, considerati tutti i loro consumi.

Il modello fornisce altre notizie: quanto kerosene occorre per ogni viaggiatore (dividendo per il numero dei passeggeri le decine di migliaia di litri necessari a un Jumbo); quanto costerebbe un biglietto se del prezzo facessero parte le tasse; quanta parte del totale delle nostre emissioni sostenibili di CO2 (cioè per riscaldarci, viaggiare, mangiare, consumare) ci giochiamo con un dato percorso aereo. In un tragitto Roma-Londra e ritorno, quasi esauriamo il nostro diritto alle emissioni per un intero anno.

I velivoli vanno a kerosene, un carburante di origine fossile. Spiegano Guy Dauncey e Patrick Mazza: «Gli aerei commerciali generano 600 milioni di tonnellate di CO2 l'anno. Rilasciano ossidi di azoto direttamente nella troposfera (la parte inferiore dell'atmosfera, sede dei fenomeni meteorologici); qui si ossidano nell'ozono troposferico che, a quell'altezza, funziona come potente gas serra. Provocano scie dense di vapore acqueo che, portando alla formazione di cirri, bloccano il calore all'interno dell'atmosfera».

Così, secondo i calcoli di Paul Wennberg del California Institute of Technology, il trasporto aereo arriva a incidere per un 10% sul totale dell'effetto serra. Volare inquina anche chi vive a terra: non solo con il monossido di carbonio e le polveri totali sospese, ma soprattutto con il rumore. Contro i voli notturni, in Gran Bretagna gruppi di cittadini protestano periodicamente in pigiama, incoraggiati dalla campagna “Green Skies” (Cieli Verdi). In Italia, è nota la battaglia delle associazioni di tutela ambientale e di molti comuni lombardi e piemontesi contro l'ingigantirsi di Malpensa. Esempio di quelle “grandi opere” che tanto piacciono ad alcuni governanti, gli aeroporti italiani crescono in numero e dimensione. Ne sono stati inaugurati uno a Olbia, uno a Crotone, a Malpensa è stata aperta la Cargo City. Quale località non vuole uno scalo aereo, anche solo per questioni di prestigio?

Proseguendo su questa strada, l'effetto serra da aviazione civile potrebbe triplicarsi entro il 2050 rispetto ai dati del 1990: la maggiore efficienza energetica degli aerei moderni e i passi avanti della tecnologia verranno annullati dalla crescita dei voli.

Se i biglietti aerei costano poco, incoraggiando le ali anziché le rotaie, è a causa di due anomalie inquietanti. La prima: mentre la benzina è pesantemente tassata, il kerosene è esentasse ovunque nel mondo. Le regole poste dall'Organizzazione Internazionale per l'Aviazione Civile (ICAO), organismo dell'ONU finalizzato a promuovere il trasporto aereo, impediscono ai singoli Paesi di cambiare la situazione. Questo dà un vantaggio ingiusto all'aereo rispetto ad altri mezzi, per esempio il treno.

«Grazie all'assenza di una tassa sul carburante aereo o di qualunque prelievo basato sulle emissioni, le compagnie aeree possono tenere i prezzi dei biglietti artificialmente bassi. In questo modo, però, il costo dell'inquinamento grava sull'intera società anziché sul solo passeggero», spiegava anni fa la Campagna internazionale per un giusto prezzo del trasporto aereo (fu avviata da Friends of the Earth. Ora è stata sostituita da Green Skies, molto più moderata: si limita a contestare i voli notturni).

L'esentasse è una pacchia per gli aerei, che richiedono soprattutto carburante, rispetto ai treni, dove è necessario invece più personale. Del resto, si stima che, in Europa, il settore dell'aviazione riceva 42 milioni di dollari l'anno fra sovvenzioni dirette o indirette, quasi fosse la Croce Rossa.

L'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), organismo tecnico dell'ONU che si occupa di effetto serra, dedicò nel 1999 il suo primo studio di settore proprio all'impatto dell'aviazione civile. Scatenando le ire del business aereo e petrolifero, il rapporto suggerì di “adottare politiche di sostituzione con altri mezzi di trasporto” e “disincentivare l'uso disinvolto del trasporto aereo con tasse o prelievi ambientali e con il commercio dei diritti di emissione”. Non se ne fece nulla.

Ed ecco la seconda anomalia: la fonte di emissioni di gas serra più veloce del mondo è paradossalmente rimasta fuori del Protocollo di Kyoto (1997) sulle riduzioni obbligatorie dei gas. La comunità internazionale non si è accordata su dove allocare il rilascio di CO2 per i voli internazionali: Paese di partenza, Paese di arrivo o Paese che ha venduto il kerosene ?

Con in favoritismi di cui gode, secondo la Commissione Ambientale d'Inchiesta (EAC) della House of Commons britannica, nel 2050, il solo settore dell'aviazione rappresenterà ben il 66% delle emissioni del Paese. Il governo inglese, unico in Europa, si è dato (“Libro Bianco sull'Energia”), entro il 2050, l'obiettivo di ridurre del 60% rispetto al 1990 le emissioni, per rispondere all'obiettivo di “salvezza climatica” indicato dall'IPCCC.

“Ma perché mai gli altri settori economici dovrebbero accettare un costoso taglio di emissioni, mentre il comparto aereo avrebbe il permesso di triplicare il contributo al cambiamento climatico fra il 1990 e il 2050 ? Non includere gli aerei significa non poter raggiungere questo obiettivo di riduzione globale”. Con questa critica, contenuta in un rapporto del giugno 2004, la Sustainable Development Commission (SDC) nominata dal governo britannico si è opposta al Dipartimento Governativo del Trasporto Aereo che, nel dicembre 2003, ha pubblicato il “Libro Bianco sul Futuro degli Aerei” (ATWP). Per la verità, il rapporto ufficiale auspica l'inclusione entro il 2008 del settore aereo nello Schema europeo di obiettivi per la riduzione delle emissioni (EUETS: European Union Emissions Target Scheme) e, in prospettiva, in un sistema globale di controllo.

Se il settore aereo fosse costretto a comprare sul mercato un'enorme quantità dei diritti di emissione (poiché non riesce a ridurle), allora i prezzi dei voli crescerebbero, e la domanda scenderebbe. La SDC e i gruppi ambientalisti britannici, riuniti nell'Aviation Environment Federation (AEF), chiedono di imporre anche all'aviazione nazionale e internazionale l'obiettivo riduzione entro il 2050. Ma non si fidano del governo, e temono che l'inserimento slitterà almeno al 2013.

Spiega Jonathan Porritt, che ha firmato il contro-rapporto SDC: “Il solo strumento di politica ambientale efficace sono le tasse ambientali e i permessi di emissione controllati. Poi ci vuole un'opera di sensibilizzazione pubblica sul fatto che il trasporto aereo non può crescere a questi ritmi, e politiche per limitarlo. Ma il Libro Bianco di tutto ciò non parla. Anzi, è favorevole a nuovi aeroporti, a causa della saturazione di quelli esistenti”.

Le compagnie aeree si oppongono alla tassazione del kerosene con il pretesto che «i poveri dovranno pagare di più i biglietti». In realtà, un simile provvedimento introdurrebbe il “giusto prezzo” (maggiorato). Ma solo se fosse adottato internazionalmente: altrimenti gli aerei andrebbero ad approvvigionarsi esentasse nel più vicino paradiso fiscale del kerosene.

Anni fa, i ministri delle Finanze dell'Ue discutevano di una tassa sui carburanti aerei entro i confini europei. Nulla, però, venne fatto, per l'opposizione di Spagna e Irlanda. Poi, l'Ue ha pensato a un supplemento sul biglietto, basato sulla distanza e sulle emissioni per km, con un sovrapprezzo per decollo e atterraggio che sono le fasi più energivore. Gli introiti sarebbero stati destinati agli Stati membri o a un fondo climatico internazionale, per mitigare (ma come?) l'impatto della crescita degli oceani dovuta all'effetto serra. Anche in questo caso, non se ne parlò più.
E così, a tutt'oggi, è la Norvegia l'unico Paese ad avere un prelievo basato sulle emissioni per i voli nazionali. E se si includessero i velivoli nel Protocollo di Kyoto ?

Alle linee aeree sarebbe permesso un tot di emissioni di CO2, e per il sovrappiù dovrebbero acquistare sul mercato mondiale diritti di emissione, scaricandone i costi sui biglietti (con un duro colpo al low cost). Questa è anche la proposta del Global Commons Institute (GCI), l'Istituto per i Beni Comuni Globali.

In sostanza, con l'eccezione della Gran Bretagna, politici e movimenti ambientalisti mantengono, in materia di insostenibilità aerea, un assordante silenzio. C'è chi si pronuncia, ma poi scivola sulla classica buccia di banana: una deputata verde tedesca, poco dopo aver pronunciato un discorso sull'inquinamento aereo, si imbarcò per una tratta che in treno avrebbe richiesto tre misere ore. Un dirigente ambientalista italiano, dovendosi recare da Roma a Verona (5 ore di treno), volò a Venezia dove lo aspettava un'auto. Il viaggio di ritorno si svolse in modo identico.

Nel privilegiato Occidente, viaggia sulle nuvole ogni categoria, verdi e alternativi compresi, verso destinazioni vicinissime e lontanissime, prendendo a pretesto la mancanza di tempo ma in realtà rincorrendo le tariffe superscontate. Non sono senza peccato i partecipanti ai viaggi di turismo “sociosostenibile” (che non tiene mai conto del peso ambientale dell'aereo). Né gli attivisti ambientalisti o no global: hanno contribuito all'inquinamento ANCHE le masse dirette verso i Social Forums di Porto Alegre e Mumbai, il vertice sull'ambiente di Johannesburg (1992), l'incontro interplanetario indigeno, l'assemblea pacifista, il controvertice commerciale, ecc. ecc...

Un discorso a parte meritano gli aerei militari. Nel 2003, durante il conflitto USA-Iraq, gli anarco-ciclisti della Critical Mass torinese, con gli scienziati della Società Meteorologica Italiana, hanno calcolato quanto contribuisce all'effetto serra una guerra aerea. Base per le stime è stata quella del Golfo del 1991. Si è partiti dalla considerazione che un aereo da caccia tipo F-15E Strike Eagle o F16 Falcon consuma circa 16.200 litri/ora; un bombardiere B52, 12.000 litri/ora; un elicottero da combattimento tipo AH64 Apache, 500 litri/ora. Su queste basi, si è calcolato che un mese di guerra soprattutto aerea porti l'emissione di 3,38 milioni di tonnellate di CO2: l'equivalente dell'effetto serra totale provocato in un anno da una città di 310 mila abitanti.

 

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